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“Rischio Vesuvio: difendersi da quale tipo di eruzione?” di MalKo

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Vesuvio_incendio_MalKo

Per difendersi da un vulcano è innanzitutto necessario determinare l’area di ricaduta o di scorrimento dei prodotti vulcanici venuti alla luce dalle profondità del sottosuolo nel corso di tutte le eruzioni conosciute. La natura dei prodotti piroclastici che si rinvengono generalmente a strati, consente ai geologi di risalire oltre che alla data dell’eruzione, alla tipologia eruttiva e alle superfici territoriali su cui si sono abbattute le varie fenomenologie vulcaniche.

L’uomo dell’età dei metalli, se avesse avuto la conoscenza dei fenomeni naturali e dei principi fondamentali della prevenzione, si sarebbe dovuto insediare più o meno ai limiti dei prodotti piroclastici di un certo spessore. Avremmo così evitato la situazione attuale, dove l’ardente monte Vesuvio spicca tra una miriade di palazzi che gli pestano i piedi e lo sormontano e lo circondano. Il Vesuvio col tempo è stato assoggettato al titolo di vulcano metropolitano, come quello dei Campi Flegrei: quest’ultimo pur essendo strutturalmente diverso dal primo, presenta una vasta caldera alla stregua riempita immancabilmente e irrimediabilmente di case. Con l’urbanizzazione attuale, anche l’incendio che ha interessata in questi giorni la vegetazione vesuviana, ha creato non pochi disagi per il fumo che soprattutto di notte calava e stagnava sulle case.

I due vulcani dicevamo, ricadono così sotto la giurisdizione amministrativa metropolitana del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che da ex magistrato prima o poi dovrà chiedersi, ovvero chiedere al Dipartimento della Protezione Civile e ai comuni, come mai mancano ancora i piani di evacuazione a tutela delle popolazioni esposte al rischio eruttivo. Un pericolo quello vulcanico forse remoto, ma indubbiamente particolarmente devastante e soprattutto con dei tempi di crisi pre e post eruzione che possono essere anche molto lunghi, come ci suggerisce lo schema sottostante prodotto dall’USGS.

Tavola_USGS

Il Vesuvio come sapete, è un vulcano che ha espresso per il passato varie tipologie eruttive molto dissimili tra loro, che vanno dall’eruzione dal taglio turistico con le patate cotte sotto la cenere, agli sconvolgimenti areali di grosso calibro (Avellino; Pompei), con interi villaggi e città devastate dai flussi piroclastici e seppellite dagli ammassi di cenere e lapilli. Fra i due poli estremi, ci sono poi le eruzioni intermedie (472;1631;1906…) che pure hanno sconquassato il litorale e l’entroterra del Golfo partenopeo…

Da quale eruzione dobbiamo allora difenderci? La commissione grandi rischi per il rischio vulcanico (CGR-SRV), prendendo in esame il lavoro della commissione incaricata di prefigurare gli scenari eruttivi quale premessa ai piani d’emergenza, ha sancito che le risultanze scientifiche raggiunte possono considerarsi in linea con l’attualità anche statistica e con il parterre scientifico precedente (1995), e che l’eruzione VEI 4 (sub pliniana), può quindi essere assunta come massima prefigurabile da qui ai prossimi 130 anni di quiescenza del Vesuvio (vedi tabella).

tabella 1

La linea nera Gurioli, novità introdotta dalla CGR-SRV, è stata ritenuta coerente come limite d’invasione delle colate piroclastiche insite nelle eruzioni VEI 4, e, quindi, il segmento nero circoscrive la zona ad alta pericolosità vulcanica

VESUVIO_mALkO3

Non tutto è lineare però. In figura la zona “rosata” corrisponde alla vecchia classificazione della zona rossa. La linea nera invece, come detto circoscrive il perimetro scientifico dell’attuale zona rossa. La prima cosa che si nota è che tale zona di fatto è più stretta della precedente. Una notizia di questo genere sarebbe stata un tantino destabilizzante, soprattutto per i vecchi comuni costretti per anni all’astinenza cementizia.

Per ovviare a questo deliquio d’immagine garantista, la Regione Campania in accordo con il Dipartimento della Protezione Civile, ha deciso comunque di classificare con atto amministrativo, zona rossa (R1) anche le parti di territorio rosato che si trovano al di là della linea nera. Con questa trovata tutta politica, si è consentito alla precedente nomenclatura regionale e dipartimentale, di fregiarsi del titolo di più realisti del re, aumentando artificiosamente la zona ad alta pericolosità vulcanica, soprassedendo al conseguenziale vulnus giuridico, perché il principio di precauzione che poteva giustificare l’imposizione amministrativa, non ha trovato equa applicazione…

Infatti, il Comune di Boscoreale in ragione di queste discrepanze di trattamento, non accettò l’artificioso ingrandimento del perimetro ad alta pericolosità vulcanica (R1) che gli bloccava il cemento a uso residenziale, ricorrendo quindi al tribunale amministrativo regionale (TAR) che inevitabilmente, e non poteva fare altro, gli diede ragione. Il Consiglio di Stato invocato dalla soccombente e allarmatissima Regione Campania, bloccò ad horas la favorevole sentenza TAR sulla scorta del principio di pericolo in mora, ribaltandola poi e completamente dopo alcuni mesi, con citazioni di prudenza a sostegno dell’allargamento non in linea con le risultanze scientifiche….

L’iniquità di questa sentenza è data dalla piccola discrepanza offerta dal comune di Scafati, la cui parte territoriale di nord ovest, pur incuneandosi tra i territori di Boscoreale e Pompei sovrapponendosi alla linea nera, si è chiamato completamente fuori dalla prima fascia ad altissimo rischio vulcanico (R1). Nella zona R2 scafatese e poggiomarinese, si sfornano quindi palazzi e villette e case e fabbricati con regolare licenza edilizia. Un principio di cautela allora applicato per Boscoreale e Pompei ma disatteso per Scafati e Poggiomarino… La figura sottostante è sufficientemente e graficamente indicativa ed esplicativa.

stralcio_scafati_MalKo

Per tentare di uscire da questo pantano amministrativo che potrebbe essere arricchito da alcune disquisizioni sull’abusivismo edilizio, piaga apertissima e infetta, ritorniamo al discorso principale per capire da quale eruzione dobbiamo difenderci.

Per avere un metro di paragone, la nostra attenzione si è concentrata sul vulcano Mount St. Helens, nello stato di Washington, negli USA, per alcune caratteristiche simili al Vesuvio. Abbiamo chiesto all’U.S. Geological Survey quale statistica eruttiva è stata applicata al vulcano St. Helens per stabilire l’eruzione di riferimento circa la stesura dei piani d’emergenza. L’USGS ha risposto che <<non pubblicano statistiche e non usano le statistiche per l’elaborazione dei piani d’emergenza>>. Le nostre mappe di pericolo, hanno precisato, si basano sul mapping geologico delle precedenti eruzioni… Come dire: vanno sul concreto, sul tangibile…  Guardate lo schema sottostante:

schema124b_eruttivo_malKo

gli esperti dell’INGV hanno dichiarato con una probabilità condizionata di accadimento, che la prossima eruzione del Vesuvio, almeno per i prossimi 130 anni, sarà al massimo un evento dall’indice di esplosività VEI 4. I passi successivi però, hanno trasformato una probabilità in valore deterministico, tant’è che la linea nera Gurioli da limite di deposito ha assunto un innaturale limite di pericolo.

Fra 130 anni l’ottimistica scelta eruttiva operata dall’INGV e dal dipartimento della protezione civile, circa la zonazione R1 di altissimo rischio vulcanico, girerà l’angolo dei 200 anni… Una soglia indiscutibile che segnerà inevitabilmente la necessità di prendere giocoforza e seriamente in esame, anche statisticamente parlando (11%), la possibilità che una eruzione del Vesuvio possa avere uno stile pliniano (VEI 5).

I futuri territori invadibili dai flussi piroclastici di una pliniana (VEI5), sono quelli oltre la linea nera Gurioli per circa 10 chilometri. Una bella fetta di terreno dove continuano alacremente a erigere case e palazzi. In questo caso, lo Stato paradossalmente si ritrova in una condizione di produttore di rischio, magari proiettato nel futuro, ma pur sempre rischio con il quale bisognerà prima o poi misurarsi…

Il rischio vulcanico mediato su una VEI4, dovrebbe essere innanzitutto oggetto di informazione dettagliata per i cittadini. Il nostro parere è che in tal modo si consentirebbe in tempo di pace geologica a chiunque di esercitare il libero arbitrio circa l’accettazione o meno della residenza in area vulcanica. Intanto la classe politica dovrebbe elaborare piani di riordino territoriale e di costruzione di grandi assi viari a scorrimento veloce che consentano alla popolazione di allontanarsi in caso di pericolo vulcanico. Progetti che interessino e impegnino i prossimi 130 anni. Solo con queste premesse e promesse di opere mitiganti a vantaggio dei nostri figli, e nipoti e pronipoti, è moralmente proponibile l’accettazione del rischio pliniano.

La funzione principale della Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi, è quella di fornire pareri  di carattere tecnico scientifico al Capo Dipartimento della Protezione Civile, come quello sull’eruzione di riferimento. Questa commissione però, molti non lo sanno, dovrebbe parimenti indicare anche come migliorare la prevenzione del rischio vulcanico, senza badare al consenso della politica. Compito arduo, che risulterebbe maggiormente agevole se  si affiancasse nell’opera divulgativa e propositiva, anche qualche autorevole alleato come il pregevole Osservatorio Vesuviano (INGV). L’importante struttura di ricerca e sorveglianza dei vulcani, sembra un po’ schiva a puntare il dito sull’assenza delle politiche di prevenzione areali, dando l’impressione invece, che preferisce  cimentarsi  sulle più neutre politiche energetiche e di sfruttamento del sottosuolo…  Con la nomina del nuovo direttore dell’Osservatorio Vesuviano, la sismologa Francesca Bianco, si spera in un cambiamento di passo che sia innanzitutto utile per la prevenzione delle catastrofi.


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